La pratica della meditazione

Introduzione

La parola meditazione è in sé così ambigua che ha bisogno di un aggettivo che ne caratterizzi l'ambito cui si riferisce. In ogni tradizione religiosa c'è in effetti una pratica meditativa con forme e contenuti talora molto diversi tra loro. Nella tradizione buddhista la parola meditazione traduce il termine pali bhavana che significa coltivare. Coltiviamo quegli aspetti positivi che sono già presenti in noi, connaturati al nostro essere umani, ma che vengono oscurati e sepolti da forze dell'abitudine, culture, modalità di pensiero che tendono continuamente a portarci lontano da quella che è l'aspirazione profonda di ognuno di noi: essere integro e libero, pienamente presente a se stesso, in sintonia con gli altri esseri e col mondo che lo circonda, sentire insomma la bellezza e la preziosità della vita che ci è stata data, e la gioia di viverla pienamente.

La meditazione seduta come pratica formale

La meditazione formale seduta rappresenta uno strumento di pratica fondamentale per conoscere e modificare la nostra mente ed inoltre predispone a creare, con il tempo, la disciplina e le abitudini necessarie per praticare la meditazione in tutti gli atti della nostra vita. Infatti Thay incoraggia ad aggiungere alla meditazione seduta tutte le altre pratiche meditative nella vita quotidiana.

Durante il giorno i nostri sensi continuano a ricevere stimoli che la mente inquieta segue, desidera e persegue. La meditazione formale seduta permette di ridurre le sollecitazioni che i nostri sensi ricevono e ci aiuta a creare dentro di noi un più semplice silenzio.

La meditazione seduta è composta da tre parti principali.La postura, il fermarsi (Samatha) e l’osservazione profonda (Vipasyana).

La postura deve essere facile. Esistono posture formali come il “loto”, il “mezzo loto”; se si è in grado di eseguirle va bene, ma Thay ci dice che c’è una postura che ognuno di noi con l’esperienza trova essere quella ideale.

La postura facile, stabile, comoda segnala alla mente che vogliamo riposare. ”Riposare” in questo caso non è dormire o assopirsi, non è fantasticare o godersi un momento di quiete, è fermare la mente dalla sua attività frenetica. Il Buddha descrive la mente irrequieta come una scimmia sempre in movimento o come un elefante imbizzarrito e la mente ferma come un purosangue ben addestrato che esegue gli ordini senza fatica.

Dopo aver trovato la propria postura il primo atto della meditazione è “fermarsi

La meditazione a questo punto non è altro che essere: niente di speciale, niente di sacro, niente di esoterico. Per fermarsi ci si addestra a stare con un oggetto su cui portiamo la consapevolezza o presenza mentale (Smrti). L’oggetto può essere uno dei quattro fondamenti della consapevolezza (corpo, sensazioni, mente, oggetti mentali). Thay ci offre la meditazione sul respiro che è un oggetto sempre disponibile e neutro al quale possiamo tornare quando vogliamo. Sul respiro la mente può riposare raccolta, vigile e sveglia.

Ma quando cominciamo a sperimentare questo semplice atto del seguire il respiro, ci accorgiamo che la mente non entra facilmente in questo processo, a causa della sua natura non addestrata. Nella tradizione buddhista, non a caso, si parla dei cinque impedimenti alla meditazione:

  1. Dubbio
  2. Torpore / noia
  3. Rabbia
  4. Piaceri sensoriali (attaccamento)
  5. Agitazione

Con la meditazione arriviamo a comprendere che anche gli impedimenti sono illusioni e che questo mondo interiore che sembra così reale non esiste: è solo pensieri ed energia. Questa è la strada ben riassunta nel canto della sera che ad un certo punto dice : “...lascio la sponda delle illusioni e riscopro la mia vera natura”.

Sedersi in meditazione non è cercare la pace, la tranquillità e la gioia, ma, nel momento in cui si compie questo primo passo, in noi possono nascere pace, tranquillità e gioia.

Praticare la meditazione seduta formale con regolarità e imparare a fermarsi per addestrare la mente a stare sull’oggetto di meditazione è fondamentale per il secondo atto, l’osservazione profonda ”Vipasyana“, che è considerato il più importante perché può portare la mente a grandi intuizioni (insight) e liberare la mente stessa dalla sofferenza e dalle afflizioni. Durante la pratica quotidiana si possono sperimentare entrambi gli aspetti, il “fermarsi” e “l’osservazione profonda”, fin dall’inizio con diversi gradi di comprensione e profondità.

La meditazione guidata è uno strumento molto utile per sapere cosa fare e per andare più a fondo durante la pratica formale, perché abbiamo la possibilità di sperimentare immediatamente le istruzioni, come ‘seguire il respiro’, ‘ascoltare le sensazioni del corpo’, ‘contemplare gli stati mentali’, e così via.

La pratica nella vita quotidiana

Ciò che sperimentiamo normalmente è una continua scissione tra l'automatismo dei gesti usuali, svegliarsi, lavarsi, mangiare ecc. ecc., e l'attività mentale che ci porta continuamente ora nel passato con il suo carico di ricordi, nostalgia, rimpianti, ora nel futuro, con le ansie, le incertezze, le fantasticherie che lo accompagnano. La conseguenza più immediata è che non ci siamo mai davvero nella nostra interezza e che, quindi, il modo di rispondere alle varie situazioni può essere dettato dalla forza dell’abitudine, dall’agire automaticamente in base alle emozioni dominanti, secondo l’idea che si ha di stessi, o meglio, secondo le tante idee che si hanno di se stessi e che sono legate ai vari ruoli che ricopriamo nella vita.

Oppure, tramite la meditazione, si può riorientare il modo di vedere, prendere coscienza degli effetti che un certo modo di relazionarci produce. Per esempio: quali pensieri intrattengo? come li esprimo? Il passo successivo è rendersi conto della sofferenza che questa modalità crea, prima di tutto in noi stessi. Da qui nasce la motivazione a cambiare qualcosa in ciò che chiamiamo la nostra vita quotidiana.

Gli insegnamenti dei quattro Brahmavihara e dei quattro nutrimenti possono aprire nuove possibilità per cambiare i contenuti della mente. I quattro Brahmavihara sono maitri, la gentilezza amorevole, come antidoto alla malevolenza, all’avversione, un connettersi che così come noi aspiriamo ad essere felici, anche gli altri hanno questa profonda aspirazione; karuna, la compassione, l’empatia, come antidoto all’indifferenza, al voltare la testa di fronte a chi soffre; mudita, la gioia compartecipe, l’apprezzamento, l’amore che gioisce di ciò che è bello, come antidoto alla gelosia, all’invidia, alla scontentezza; upeksa, l’equanimità, la serenità, il sapere ricevere ciò che accade senza avversione e senza attaccamento, in uno spazio di equilibrio. Thay ha riformulato questo antico insegnamento in nove punti, chiamandolo meditazione d’amore.

Gli insegnamenti sui quattro nutrimenti, cibo, contatto degli organi sensoriali con il mondo esterno, coscienza e volizione costituiscono un’altra importante area di attenzione nella vita quotidiana su ciò che mangiamo, che consumiamo, e mettono in discussione il nostro stile di vita. La volizione, in particolare, richiede una grande attenzione, perché significa l’intenzione, che parte da un certo modo di vedere le cose, e che si materializza in pensieri, parole e azioni. Ed è sull’intenzione che l’essere umano esprime la sua peculiarità, la possibilità di scegliere se agire in un certo modo o in un altro. È proprio a partire dall’intenzione che si produce il karma.

Se limitiamo la nostra pratica meditativa alla pratica formale non ci può essere una vera trasformazione. Del resto il Buddha stesso, indicando il sentiero che porta alla liberazione – quarta Nobile Verità – ha indicato in retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di sostentamento, retto sforzo un’area vasta che riguarda tutti i settori della nostra vita, mentre per la meditazione indica solo gli ultimi due fattori, retta presenza mentale, retto raccoglimento. D’altra parte, se durante la giornata non ci prendiamo cura dell’energia del corpo e della mente, conducendo uno stile di vita il più possibile in sintonia con la scelta di percorrere un cammino spirituale, non possiamo poi sperare che la meditazione seduta ci dia frutti soddisfacenti di calma e visione profonda.

Conclusione

Il punto importante è coltivare la presenza, intesa come presenza globale del nostro essere. La meditazione formale ci dà con vivezza l’esperienza di questa presenza, ma è fondamentale continuare a portarla nella vita così come si svolge attimo per attimo, allenandoci a rispondere a ciò che accade nella direzione della comprensione e della compassione.

Bibliografia

naturalmente molti di questi argomenti sono trattati in vari libri e discorsi, quindi queste indicazioni si riferiscono a quanto abbiamo preso in considerazione in questo contesto.